Ora che il G 7 è morto, nascerà il G 3+2 per gestire “disordine e instabilità”.

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A Taormina il G 7 ha certificato, plasticamente, la sua morte. Era diventato un rito: agenda pomposa, comunicato altrettanto pomposo in inglese ma tradotto dal tedesco. Ci voleva un individuo dalla fisicità alla Depardieu e dalla grossolanità di un capomastro da grattacieli, eletto democraticamente sulla base di un programma chiarissimo che lui doveva onorare, per far perdere le staffe a Angela Merkel e mostrarcela per com’è: “leadership paranoia” (vedere Manfred Kets de Vries).
Il G 7, i suoi membri, la politica “voglio non posso” che ha connotato da sempre questo club, grazie alla sgradevolezza di Trump, sono apparsi per ciò che sono: diversi su tutto, gli americani tornati ai tempi dell’apparato industrial-militare; i tedeschi hanno da tempo rindossato l’elmo chiodato per dominare l’Europa (questa volta pare si limitino all’economia); gli americani hanno preso atto che l’epoca degli accordi globali, delle tre archistar post muro (Clinton-Bush-Obama) stava portando solo disastri; Uk ha concluso “meglio morire americani piuttosto che tedeschi”; il Giappone è fermo nel privilegiare la compattezza e l’identità del suo popolo rispetto alle seghe mentali degli europei; Francia, Canada, Italia devono decidere se essere follower degli americani o dei tedeschi.
Il mondo l’ha sempre dominato la demografia, dopo questa ubriacatura intellettual-ideologica-digitale durata fin troppo, si torni ai fondamentali del vivere civile del capitalismo classico: la “vita” dei singoli, almeno per chi non vuol essere schiavo, prevalga sullo “stile di vita” imposto da altri.

Questa volta sono arrivato all’appuntamento del G 7 preparato. Come livre de chevet tenuto preventivamente sul comodino avevo scelto il saggio, scritto alcuni anni fa da Ian Bremmer, “Every nation for itself” (“Ogni nazione per conto suo”). Questi, con indubbie capacità profetiche, indicava il futuro dell’Occidente attraverso la teoria “G-Zero”: la sua progressiva irrilevanza sullo scenario mondiale, l’ingresso dello stesso in una fase di “disordine geopolitico”, dove le attuali organizzazioni sovranazionali (Onu, Nato, G 7, etc.) sarebbero state sempre meno decisive e il mondo sempre più instabile. La Cina capitalista, globalizzata e vincente, il peso crescente della Russia, l’implosione del Medio Oriente, il languore dell’Europa, il progressivo unilateralismo dell’America ci avrebbero portato al mondo G-Zero. La foto finale di gruppo di Taormina è la rappresentazione plastica del mondo G-Zero: perdita di influenza, incapacità a trasmettere valori, la progressiva instabilità che dalla geo politica presto si trasferirà all’economia, così i populismi prenderanno ovviamente sempre più piede, mi permetto di aggiungere una guerra civile permanente (verbale) spaccherà i singoli paesi.
Trump è parso a disagio con i colleghi, le chiacchiere sui massimi sistemi lo annoiano, lui, uomo di execution, non accetta che Cina e India, giocando sul trattato di Parigi sul clima, grondante ipocrisie ed escamotage (non fare, però promettere di fare), acquisiscano sempre più quote di mercato nella manifattura mondiale. Solo chi non conosce l’America può pensare che possano mai accettare un modello commerciale diverso dal “fair trade” (correttezza negli scambi) basato sulla reciprocità di dazi e di tariffe. Merkel e Xi se ne facciano una ragione, per l’America loro sono i nemici.
Quando si decideranno a fare un G 3+2 (America-Russia-Giappone + Cina-Germania) e ufficializzare la realtà?
Brexit, la sconfitta di Hillary Clinton, la quasi scomparsa dei laburisti olandesi, la sberla al Pd nel referendum, la vittoria di Macron ma con il consolidamento della destra lepenista e il successo della sinistra estrema di Mélenchon, la rinascita, almeno nei sondaggi, di una figura da film muto come Corbyn, la May riconvertitasi a un conservatorismo socializzante, sono tutti segnali deboli, anche presi singolarmente, che vanno nella direzione del “disordine e dell’instabilità”.
I nostri leader saranno politicamente e culturalmente attrezzati per governare contemporaneamente una recessione economica e una recessione geopolitica, o continueranno a essere prigionieri delle loro ricettine sifonate alla Ferran Adrià?

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