L’automobile ha superato baldanzosa i cent’anni, è stato un oggetto di culto, l’indicatore principe dello stile di vita “mobilità-libertà”, lo status symbol del Novecento, la bestia nera degli ecologisti. Da allora il nostro rapporto verso l’auto si è fatto via via più irrazionale, passando dal sogno alla dura realtà. Dei tanti saloni dell’auto che si succedono, io preferisco quello di Ginevra, non tanto per le novità, identiche ovunque, quanto per le riflessioni strategico-morali che nei suoi corridoi e nelle sue stanze, esso sa sollevare e dibattere. Ne elenco tre, un punto emerge sempre più potente: lo scontro infinito fra obiettivi (nobili) e realtà, cioè execution. Questo pare ormai giunto a un punto di stallo, se non di rottura.
- I progressi compiuti dalla tecnologia hanno abbassato sia i consumi, sia le emissioni nocive, ma ora siamo bloccati: gli Stati, spinti dalle organizzazioni ecologiste, hanno fissato livelli di abbattimento sempre più sfidanti, probabilmente irraggiungibili con le tecnologie in essere, così la spietata legge dell’execution ha tolto molto ai loro velleitarismi iniziali. Non potendo raggiungere i livelli imposti, le aziende potrebbero aver scelto la strada della menzogna: manipolazione dei dati (ovviamente non ho uno straccio di prova, salvo quello già palesatisi). E qui emerge il grande equivoco di questa illusione: l’auto elettrica. E’ un oggetto incompiuto di cui nessuno di noi ha il coraggio di dire la verità: allo stato dell’arte è un grande flop, figlia di una stagione finta, velleitaria. Nella sua vita vera l’auto elettrica ha questa caratteristica: nella strada che percorre le emissioni sono zero, ma nel momento in cui si appoggia ai punti di ricarica tutto il castello di ipocrisia tecno-ideologica, che sta alla base della sua esistenza, si sbriciola. Infatti, l’energia di cui si nutre è quella ampiamente maggioritaria nel mondo, cioè generata dalle centrali a carburanti fossili, carbone in particolare, il peggio del peggio. Più auto elettriche si dovesse mettere in circolazione più inquinamento produrremmo: sarebbe un disastro annunciato. L’altra grande ipocrisia tecnologica è quella dello smaltimento delle batterie: altro disastro annunciato. L’unica scelta giusta appare quella “ibrida” della Toyota che ha ormai vent’anni di vita. Come non mi stanco di ripetere l’execution spazza via tutti i velleitarismi delle élite che, spesso come in questo caso, amano mentire sia a loro stesse che ai cittadini.
- Nessuna novità sull’auto a guida autonoma. Siamo fermi all’unica soluzione seria, quella “a guida assistita”, tutt’altra cosa. Per quella “a guida autonoma”, tanto strombazzata, nessun paese ha sciolto il macigno etico-morale dell’algoritmo assassino. Prima di parlare, attendiamo sereni che si pronuncino legislativo e magistratura. Un punto fermo c’è, i giovani, cioè i futuri clienti, sono interessati, non tanto alla potenza del motore, alla velocità, alla linea, quanto al comfort a bordo, alla possibilità di continuare a guidare interconnessi con il mondo. Al contempo, nei paesi occidentali il numero di licenze di guida rilasciate a ventenni, rispetto a dieci anni fa, sono crollate del 20%. Per esempio, un mercato tipo come quello svizzero (senza un costruttore locale) consuntiva un dato curioso: le famiglie che non posseggono un’auto sono passate dal 29% al 41%.
- La strategia del “consolidamento” fra i grandi gruppi automobilisti, tanto cara a Sergio Marchionne, sta battendo il passo (l’operazione Opel ha poco di strategico, molto di manutenzione). Il timore di quelli che hanno investito sulla sua scommessa di farsi “comprare”, o da Gm o da Volkwagen, aumenta via via che i “no”, ormai sgradevoli persino nella forma, si succedono. Che rimanga con il cerino acceso? Non ci posso credere. Nel frattempo, gli Stati nazionali restano aggrappati alla volontà di non perdere neppure un posto di lavoro pregiato. Gli apparentemente stravaganti comportamenti di Donald Trump stanno facendo scuola, e questa difesa del lavoro da parte degli Stati non può che essere positiva.
Insomma, nel pianeta auto di Ginevra pare respirarsi più un aria di restaurazione che di rivoluzione.
Riccardo Ruggeri