Nelle mie settimanali (inutili) riflessioni su come va il mondo dopo la pandemia, e dopo l’immersione in una guerra piena di morti, feriti, distruzioni, oggi parlo della Svizzera, il paese più ricco al mondo e uno dei due, forse tre, che possono dirsi veramente democratici. E dire che era strutturalmente povero. Ricco lo è diventato lavorando duro e rimanendo coerente ai suoi valori di libertà e di pace. Purtroppo anche la Svizzera ora è prigioniera dei meccanismi diabolici del modello “CEO capitalism in purezza” , e via via sempre più svizzeri cominciano ad avere dubbi sul loro futuro.
Delle parole, locuzioni, conclusioni che seguono neppure una è mia, ma di due importanti personaggi svizzeri.
Peter Lack è il direttore della Caritas Svizzera. Premette: “La Guerra ha colpito la Svizzera molto duramente”. Aggiunge “Può sembrare assurdo ma è così. Secondo l’Ufficio Federale di Statistica sono considerate povere le persone singole con meno di 2.300 franchi al mese, ovvero con 4.000 franchi per un nucleo familiare di quattro persone. Su 8,5 milioni di abitanti, 1,3 vivono già oggi in condizioni finanziarie precarie e l’alto (per noi) tasso di inflazione farà sempre più precipitare queste persone nell’indebitamento prima, e nella povertà assoluta poi. Per esempio, oggi in Canton Ticino, il tasso di povertà ha superato il 14,5%, un numero sconvolgente, per noi svizzeri.”
Conclude: “E la situazione è in peggioramento, al punto che è stato coniato il termine “crisi con preavviso”. L’alto flusso di migranti e rifugiati stresserà sempre più la situazione. Purtroppo, il supremo Consiglio Federale di Berna ha dichiarato che non c’è necessità di intervenire.”
Alessio Petralli, linguista e giornalista, si è chiesto, sul Corriere del Ticino: “Che cosa fanno i frontalieri?” Letto secondo le logiche del CEO capitalism, il caso dei frontalieri è affascinante e drammatico al tempo stesso. Il “frontaliero” è un cittadino italiano della regione più ricca, la Lombardia, spesso in possesso di una professionalità alta, che si alza prima dell’alba, si intruppa in una lunga coda, arriva al lavoro in Canton Ticino prima dei locali e la sera torna a casa, fa cena quando i bimbi già dormono. Questo “giochino sociale” di vecchia data, in cui all’apparenza tutti credevano di guadagnarci, potrebbe creare un disastro sociale a entrambi i paesi. Da lavoratori di nicchia a lavoratori indispensabili. Stante il loro numero, senza i “frontalieri” oggi la sanità e l’edilizia in Canton Ticino collasserebbero. Così, senza le loro rimesse intere zone della Lombardia collasserebbero. I due territori sono prigionieri del modello economico in essere.”
Aggiunge: “I frontalieri ormai sono dappertutto, e hanno colonizzato interi settori, specie del terziario, abbassando di molto gli stipendi dei ticinesi. Ciò va a scapito di tanti nostri giovani e meno giovani che non possono accettare stipendi da fame (curioso, a pochi chilometri in linea d’aria, lo stesso lavoro può farti povero o benestante, ndr). Quanti sono i frontalieri ben formati che per uno stipendio, in Svizzera considerato da fame, sono disposti a fare tutto o quasi? Sarà vero che nelle banche di Lugano ci sono molti giovani laureati alla milanese Bocconi a 2.500 franchi al mese? Non dimentichiamo che nella vicina Italia chi riesce a spuntare uno stipendio a tempo indeterminato di 1.500 € al mese è considerato un privilegiato. E una pensione di 1.000 € è un miraggio elettorale”.
Di questo ragionano e scrivono gli amici svizzeri. L’amico banchiere XY chiosa “Non ci accorgiamo che questo modello politico, economico, culturale rassomiglia sempre più a quello romano del III Secolo? Sappiamo come finì allora? Pare di no!” Prosit!