Intervista & Pizza all’amico banchiere svizzero che i lettori del Cameo hanno imparato a conoscere. Assistiamo insieme allo scrutinio del ballottaggio: pizza margherita, birra Menabrea. Dopo la crisi del 2008 è montata in lui, gestore prudente di patrimoni importanti, una furia iconoclasta verso il mondo delle felpe californiane e dell’alta finanza, solo attutita da una raffinata ironia yiddish. Usa quasi le stesse parole dello storico Emmanuel Todd nell’intervista ad Anaïs Ginori “Le Pen è razzismo, Macron è servitù”. E’ feroce verso i media, valletti della Germania e di Silicon Valley, per la martellante campagna sull’impresentabilità dei candidati contro. Pare molto preoccupato dall’allargamento della faglia sociale: da una parte i vincitori, dall’altra gli sconfitti della globalizzazione. I sorrisetti ironici degli uni, la rabbia sorda degli altri per un liberale d’antan, un alto borghese perbene come lui, è inaccettabile.
Le mie conclusioni sono identiche, ma diverso il processo che mi ha portato a considerare Emmanuel Macron un’area di sosta nel processo di caduta verso il fondo del pozzo. Ragionamento classista il mio, al momento del voto. Fino ai primi quarant’anni ho fatto parte della classe operaia: è rimasta la mia casa. Nei successivi quaranta, per un mix fortuna-merito, eccomi nelle élite, nell’establishment: è diventata la mia seconda casa. Le amo entrambe, perché non sono incompatibili, se si lasciano in cantina le ideologie, e si fa politica attraverso l’execution. Quando il popolo sceglie io sono sempre d’accordo: sia quando abbatte Cameron, Clinton, Renzi, sia quando si aggrappa Macron, che ha abbattuto Hollande. Siamo o no nel III. Secolo dopo Cristo, quando gli imperatori si succedevano come le stagioni?
L’intervista consta di una sola domanda: “Perché l’establishment ha scelto Macron?” Risposta secca.
“Il modello Macron è, forse a sua insaputa, contro la classe media e operaia (infatti poveri, operai e classe media non cittadina gli hanno votato contro), radicalizza lo scontro sociale attraverso l’uberizzazione della società, quindi danneggia, a gioco lungo, pure le élite e l’establishment, di cui pensa di fare gli interessi. Approccio ottuso il suo, tipico dei parvenu. Capisci, come classe dirigente siamo penalizzati da uno appena arrivato, convinto pure di fare i nostri interessi. Perché? Perché Macron è come Blair, come The Bill, come The Barack, come Renzi. Quelli che riescono a far politica economica contro le leggi della fisica: far cambiare verso al mitico trickle down, facendolo diventare trickle up. Chi l’avrebbe mai detto che il “gocciolamento verso il basso”, che riconciliava le classi medie e operaie con quelle alte, ridistribuendo parte della ricchezza prodotta, si sarebbe trasformato in un “gocciolamento verso l’alto”, con l’esplosione delle diseguaglianze sociali fra quelli al di là della faglia, che diventano sempre più ricchi e sguaiati, e quelli al di qua, che diventano sempre più poveri e sgradevoli. Risibile la teoria che costoro dovrebbero accettare ottusamente il loro impoverimento perché in cambio un miliardo di africani e di asiatici sono usciti dalla povertà, forse perché li dotano di uno smartphone?”. Così parlò il banchiere svizzero.
Secondo lui ormai il sistema si è incartato: la crescente polarizzazione della società occidentale non è più sostenibile, non solo economicamente, il pericolo è che la crisi si connoti sempre più in termini culturali, e il numero dei “perdenti”, anche solo per isteresi, aumenti. Anche la presunta ripresa economica, tanto strombazzata dai governi europei, è una banale figlia dell’esorcista Draghi, frutto quindi di politiche monetarie eccezionali, un continuo stampare moneta, un indebitamento privato in crescita, tutto sotto un cielo tempestoso che minaccia bolle speculative sui mercati immobiliari e finanziari. La ripresa? E’ fragile perché drogata, per cui l’amico conclude con un sorriso: “Sono troppo ricco per votare Le Pen, troppo intelligente per scegliere Macron”.