Il sistema elettorale francese, gollista fino al midollo, era stato concepito per tenere il più possibile al potere il centro destra, in attesa che i socialisti si affrancassero dai comunisti (allora erano stalinisti della peggior specie). Il ballottaggio ha una sua validità democratica, solo se si presentano due forze popolari serie, in genere una destra che privilegia una politica liberale atta alla creazione di ricchezza e una sinistra che cinque anni dopo, se eletta, opera per una sua ridistribuzione, con un ascensore sociale che scompagini, in positivo, con lo strumento della meritocrazia, le tre classi sociali presenti: povera, media, ricca. Ce lo ha insegnato l’America: ha funzionato così, e molto bene, fino all’arrivo dell’ambiguo Bill Clinton. Poi, quel mondo si è deteriorato, come aveva acutamente previsto il professor Angelo Codevilla con il suo saggio Ruling class. Dopo un quarto di secolo di questi al potere, Angelo si chiedeva “Chi sono costoro, e in virtù di quale diritto ci governano? […] Perché l’America non è più il luogo in cui la gente possa aspettarsi di vivere senza doversi piegare a una classe di privilegiati, ma è diventato un paese in cui, nella migliore delle ipotesi, puoi solo sperare di entrare a far parte di questa classe?”.
Le presidenze Bill Clinton, George Bush, Barck Obama hanno messo a punto un modello, un “ismo” ( a seconda delle sensibilità ciascuno ci metta il sostantivo che preferisce). Altrettanto hanno fatto in Germania (finto scontro Merkel-Schulz), ora ci tentano in Francia con Macron-Hollande-Fillon; in Italia il giochino è stato bloccato dal voto popolare, ma presto ci ritenteranno. Questo establishment europeo ha una caratteristica: è abbarbicato al potere, è incapace di gestire i problemi pur essendo abilissimo nel nasconderli, incolpando altri della loro inettitudine: un loop perfetto.
Dobbiamo ringraziare l’intuizione e il perfetto tempismo di Emmanuel Macron di farsi, in pochissimo tempo, un partito personale, permettendoci di capire quanti sono i voti riconducibili all’establishment (24%). Stesso discorso vale per Jean Luc Mélanchon che ha fatto il pieno dei voti della nuova sinistra (20%), uccidendo definitivamente il partito socialista (6%) destinato a confluire nell’establishment, mentre l’estrema destra storica di Marine Le Pen non va oltre il 22% (un clamoroso insuccesso nelle città, un incredibile successo sul territorio). Gli stessi gollisti sono destinati a spaccarsi per cui, non tanto al ballottaggio, quanto alle elezioni legislative si giocherà la partita della governabilità.
Dando per scontata la nomina di Macron a presidente della Republique (sarà interessante solo il differenziale di percentuale) la soluzione più probabile appare essere quella di un establishment regnante e di un anti establishment frenante, il massimo che possono ottenere, al momento, i due schieramenti culturalmente contrapposti. E’ proprio sull’aspetto culturale che si giocherà, a lungo termine, la partita.
In quest’epoca di mezzo, al ballottaggio non potevano non scontrarsi i due “ismi”, il new californiano di Macron e il tardo europeo di Le Pen (entrambi culturalmente fallimentari, ma questo passa il convento), mentre alle elezioni legislative la competizione si farà più politica, gli “anti” potranno finalmente contarsi e far pesare le loro idee e le loro letture dello scenario futuro. I contrasti “città-territorio” e “centri storici-periferie” si radicalizzeranno e il tema “lavoro” dominerà la scena.
Non c’è dubbio che nessun cittadino degno di questo nome può accettare un modello ove la dignità del lavoro viene sostituita da un mix “reddito di cittadinanza-lavoretti uberizzati”. I francesi l’hanno capito. Così il “popolo della diseguaglianza” ha ancora le mani libere per il secondo turno, ma sopra tutto per le legislative di giugno. Vedremo come andrà a finire.
Riccardo Ruggeri