Incanto e disincanto di un elettore che passeggia nella terra di mezzo del voto

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Più si avvicina il 4 marzo, più lettori mi scrivono o attraverso il Blog o direttamente per invitarmi a indicare per chi voterò o, in via subordinata, un suggerimento per chi votare. Come ripeto a ogni elezione: a) Non trovo corretto che un persona pubblica (scrivere sui giornali praticamente ogni giorno ti connota come tale) dica per chi vota, poi per un liberale nature come sono, sarebbe una caduta di stile; b) Per gli stessi motivi non è corretto dare suggerimenti sul voto (non l’ho mai fatto, neppure con i miei figli e nuore).

Non ho invece alcuna difficoltà a raccontare il processo che seguirò per arrivare al voto, la cui decisione finale, almeno per me, avverrà la mattina del 4 marzo nel percorso tra casa mia  a Torino e il seggio 27 del Liceo Gioberti (casualmente coincide con il locale ove ho fatto la prima media: casi della vita) e la messa domenicale nell’adiacente Chiesa barocca della Santissima Annunziata. Non essendoci un partito che interpreti il mondo liberale nature al quale da sempre (lo sottolineo, da sempre), è ovvio che debba avere verso il voto un approccio diverso: scegliere il meno peggio. In questo senso mi è utile la lettura incantata-disincantata della politica da parte di List.

Amo molto queste elezioni perché, in sostanza, è privilegiato il proporzionale (per me la rappresentanza è l’ultimo e unico modo per difendersi dai poteri globalizzati non eletti, il ceo capitalism per intenderci), l’offerta politica è vasta, la fascistoide teoria del voto utile e del doppio turno, per fortuna questa volta non avranno spazio: ognuno si deve assumere le sue responsabilità, voti, e poi, a qualsiasi classe lui appartenga, si adegui alla maggioranza. Come cittadino sono grato a Matteo Renzi che ha distrutto il vecchio Pd prodiano, con il tempo diventato un “potpourri”, un immangiabile stufato di carne, legumi, verdure, cotto fino al disfacimento, senza vergognarsi di averlo trasformato in un partito di centro-centro-sinistra che si identifica con lui e nel quale gran parte dell’establishment si riconosce . Nei suoi mille giorni Renzi ha fatto capire agli italiani cosa significa essere guidati dall’establishment, alcuni ne sono rimasti contenti, altri meno, il 5 marzo conosceremo il numero di entrambi (bellezza della democrazia diretta).

Per 25 anni siamo stati governati o dal Pd (Liberi e Uniti compresi), o da Fi, o da entrambi, vedi governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, quindi li conosciamo, sappiamo ciò che ci hanno promesso e ciò che hanno mantenuto, le loro competenze (note), le loro incompetenze (certificate), quindi sarà facile, per coloro che condividono le loro idee e i loro comportamenti politici, chi scegliere fra i due, sapendo pure che se ci saranno i numeri romperanno le varie reciproche alleanze pur di governare insieme. Lo faranno sotto la spinta e con la benedizione delle Cancellerie europee, della Commissione, della Bce, del Fmi, e aggiungiamo pure, sorridendo, l’Onu, insomma tutti i poteri forti del globo terracqueo, Cina compresa. Ovviamente, usando la formula di rito: “in nome dei supremi interessi del Paese”. Per alcuni questo rappresenta un atout, per altri un disastro.

Degli altri attori Di Maio, Salvini, Meloni, non abbiamo riscontri effettivi, non avendo mai governato il Paese, o quando l’hanno fatto erano in posizione subordinata verso un Berlusconi dominante.

Comunque trovo tutto ciò irrilevante, mi pare, per ora, una campagna elettorale moscia, Renzi, Berlusconi, Grasso hanno tutto interesse di renderla tale, meno cittadini vanno a votare, per loro meglio è, perché più la partecipazione è alta più privilegia, stante i risultati, gli anti establishment, Di Maio e Salvini. Il vero differenziale strategico sarà proprio la partecipazione.

Per andare avanti nel ragionamento, come dicono i colti, devo fare un assumption. Al di sotto del 60% di voti validi non è detto che il centro destra raggiunga la maggioranza, e qualora la raggiungesse non è detto che diventi operativa, tenuto conto che la storia ci ha insegnato che Berlusconi è sì un grande federatore ma un mediocrissimo gestore di alleanze. Ergo l’unica grossa coalizione fattibile sarebbe fra il Pd (con parricidio di Renzi), Fi (con fratricidio di Savini e di Meloni), Liberi e Uniti (tranquillizzati dal parricidio-fratricidio di entrambi). Al di sopra del 75% l’unica grossa coalizione fattibile potrebbe essere quella fra M5S, Lega, Fdl.

Non mi pare uno scenario entusiasmante, ma questo passa il convento. Abbiamo l’opportunità di contarci, facciamolo, augurandoci che non sia per l’ultima volta. L’unico aspetto di cui non dobbiamo preoccuparci è quello della cosiddetta “competenza vs incompetenza” di chi ci potrebbe governare. L’establishment si è inventato un doppio inganno, sintetizzato in due dilemmi: quello strategico “costruttori vs demolitori”, quello operativo “competenti vs incompetenti”. Formalmente parrebbe corretto, in realtà è un approccio fake: ti spacci per “costruttore” ma di un mondo sbagliato come si vede dal degrado della globalizzazione, per “competente” quando è certificato che da trent’anni le hai sbagliate tutte (quasi).

www.riccardoruggeri.eu

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