IL “FINTO” SILENZIO DELLE VACANZE PATRIZIE

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Il bello dei novant’anni è che non devi più sottostare al rito delle vacanze, sei finalmente un uomo libero, puoi chiamare lavoro le vacanze e viceversa, nessuno può criticarti.

Per Lilli e per me le vacanze, per una decina d’anni della nostra giovinezza genitoriale (dei piccoli Luca e Fabio) le praticammo con le modalità all’epoca riservate al popolo: si andava con la Seicento a Follonica, affittando, per quindici giorni, una camera nell’alloggio del macellaio locale. Svolgevamo con impegno una faticosa routine giornaliera. Allora tenevo un diario: “Partenza (laboriosa) per posizionare il mini ombrellone più vicino possibile al mare, deporre con pietre di garanzia i due teli colorati, proteggere dal sole ragazzi e minifrigo, aiutarli a scavare la pista per giocare al Giro d’Italia con le biglie colorate, garantirsi che i loro panini fossero esenti da sabbia, infine consumare i nostri orrendi yogurt alla frutta, per poi, distrutti, prepararci al (laborioso) rientro”.

Come mi apparivano lontane le (non) vacanze dei primi anni del dopoguerra, quando ragazzino vivevo nella portineria dov’ero nato, al civico 9 di piazza Vittorio Veneto a Torino! Nelle domeniche d’estate, quando i patrizi e le loro servitù erano in villeggiatura (parola oggi desueta) la Nonna, finalmente libera, sistemava la sua seggiolina impagliata sotto i portici della piazza per raccogliere correnti d’aria e refoli di fresco. Non sapevo, allora, che Roland Barthes, parlando dei portieri di Parigi, che a luglio e agosto erano, come noi, alla ricerca del fresco di strada (i condizionatori del popolo!) sentenziava: “È una visione della pigrizia che ormai si è cancellata. È probabile che adesso la pigrizia consista non nel fare nulla, dato che non ne siamo capaci, ma nello spezzare il tempo il più possibile, nel diversificarlo.” Un genio, Roland, aveva capito tutto della società che stava nascendo dopo la guerra!

Torniamo a noi! Le vacanze d’agosto in quel di Follonica finirono nel 1975, nell’inverno successivo Lilli ed io venimmo cooptati, di botto, nel  Patriziato benestante, prima torinese poi internazionale. Ora ci competevano hotel con più “stelle” e pranzi con raffinate sceneggiature teatrali, da attori e non più da spettatori, cenavamo in ristoranti dominati da un silenzio luterano, con ridicole mini abat-jour con luci tendenti al buio, cibi impiattati come quadri, e vini che impeccabili sommelier cercavano di coinvolgerci in sentori di frutti rossi (inesistenti?) favorendo l’orgasmo del palato attraverso un retrogusto patrizio in luogo del nostro gusto, ancora plebeo. Ci pareva fuffa in purezza ma da consapevoli parvenu tacevamo. Anni dopo scoprimmo che eravamo entrati, impreparati, in un mondo di teatranti.

Anche quell’epoca farlocca passò, per fortuna all’inizio del nuovo millennio tornarono le crisi: per noi popolani, travestiti da patrizi di complemento, fu un ritorno al nostro mondo, e da allora le vacanze le passammo nel luogo a noi più consono, nella solitudine silenziata (questa sì, autentica) dell’Hotel Dune di Piscinas (un tre stelle che ne valeva sette con prezzi da cinque) nella zona mineraria della Sardegna.

Oggi, anche i patrizi doc, pur rimanendo dei teatranti, hanno furbescamente abbassato il profilo, al ritorno dalle vacanze ormai è d’uso il finto compiacimento: “Ho riscoperto il silenzio!”

I più imbarazzanti di costoro, dissertano sulle declinazioni del silenzio: il silenzio come valore, il silenzio come regola, il silenzio come mezzo per uscire dal caos, fino al mitico  il silenzio come autenticità della vita!

 

Persino i patrizi manettari di ieri si scoprono ora a favore della nuova ideologia della disconnessione estiva e dissertano sul digital detox!

Élite ormai alla frutta continuano a scimmiottare quel Josè Saragamo che coniò l’iconica locuzione radical chic: “Forse solo il silenzio esiste davvero”E tutti a chiedersi, cosa mai avrà voluto dire il Maestro? Vi tranquillizzo, nulla, era fuffa in purezza.

 

Da quattordici mesi, nel silenzio vero, quello della vita e della morte, ci vivo, insieme a Angela e a Myrian. Grazie a IDEA*, la nostra RSA domestica (la chiamo lo Chalet di Lilli) è operativa, tempio di un silenzio operoso. Finalmente sono riuscito a entrare in sintonia con “la poesia maledetta” di Charles Baudelaire (l’assoluto come slancio, la caduta come consapevolezza, l’elevazione come desiderio, l’angoscia come riferimento) ho capito il rapporto millenario tra bellezza e dolore.

Lo Chalet di Lilli, oggi è questo, bellezza e dolore, siamo dominati dal silenzio, ma noi tre rispondiamo con il sorriso, e Lilli ricambia, e così sarà fino a quando la magia di IDEA durerà.

Prosit al colto pubblico e all’inclita guarnigione!

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