HA VINTO LA SQUADRA MULTICOMUNALE

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Lo confesso, come italiano, come apòta, come cittadino, sono molto felice di vivere questo periodo post virus. Dall’arrivo avventuroso al potere di Mario Draghi e nel pianeta calcio di Roberto Mancini, è cambiato tutto nel piccolo mondo antico del paesone Italia.

L’arrivo del Virus di Wuhan aveva avuto il pregio di dimostrare che il mondo precedente (quello che io chiamo figlio del primo CEO capitalism) era avariato, ma era ricuperabile. Non servivano competenze particolari, se non i fondamentali del vivere e del governare, ma ci voleva tanta, tanta execution, cioè zero ideologie, dosi massive di buon senso, feroce determinazione al fare, a sciogliere nodi idioti autoimpostici nel tempo, abbattere l’oscena cultura dei salotti, accademici e no, da cui tutto nasceva.

Mario Draghi ha dimostrato in poco tempo che ciò era possibile, che alla prova dei fatti i tre leader della maggioranza giallorossa e i tre del centrodestra non erano all’altezza per governare, perché senza idee, ripetitivi negli atteggiamenti, succubi di sciagurate minoranze interne ultra ideologizzate. I partiti di ogni colore, se vogliono avere un futuro, dovrebbero rinnovarsi nelle idee, nelle politiche, nelle leadership. Ormai i leader dei Partiti sono CEO della politica, quindi valgono le regole delle multinazionali: si resta o si salta in funzione dei risultati. Come nello sport.

Proviamo ad assumere che il campionato europeo di calcio sia stata la metafora di conferma del fallimento di quel mondo, di quell’Establishment.

I “competenti” pretendevano da Mancini una nazionale multietnica, possente, ruvida, alla francese. Lui invece ha creato una squadra multicomunale, circondandosi di uno staff fatto di amici, tutti ex dello spogliatoio della Samp d’antan. Contro intuizione da genio del management quale ha dimostrato essere anche in termini di marketing comunicazionale.

Una squadra di calciatori piccoli di statura, di modesto peso, non ultra strutturati muscolarmente. Al momento dell’inno, la loro faccia in primo piano mi ricordava quella degli zii garfagnini del dopoguerra: sofferenza atavica e soddisfazione di essere sopravvissuti. Tutti da 7+, nessun 6 e nessun 8, eppure hanno vinto, con personaggi da 9 e da 10 (sulla carta). Niente inutili generali, loro erano tutti sergenti promossi sul campo, una sporca dozzina che si beava di esserlo. Hanno sempre vinto non stracciando gli avversari, spesso dopo i tempi supplementari, dopo i rigori. Con infinita sofferenza contadina.

Da ragazzi perbene hanno gestito benissimo la ridicolaggine dei salotti radical chic (take the knee) utilizzando il nostro modo confusionario (casino, in italiano). Si sono o non si sono inginocchiati, a volte lo hanno fatto “a la carte”, altre per rispetto verso un compagno di squadra (e Romelu Lukako merita rispetto per la sua umanità), alcuni rimanendo in piedi, chi applaudendo e chi no. Così quel simbolismo da asilo che volevano imporci è rimasto nello spogliatoio.

Non sono caduti nella trappola del “vokeism” incombente, quella religione nata nelle accademie franco-anglosassoni, dopo la quasi scomparsa in Occidente della fede, della nostra identità religiosa-lavorativa, del patriottismo. I nostri giocatori-contadini non si sono fatti gabbare con i succedanei del “vokeism”: diversità, inclusione, equità, sostenibilità. Nel linguaggio woke parole slogan da ripetere all’infinito, totalmente vuote nella vita vera.

Quelli che avrebbero dovuto vincere, i fenomeni multirazziali, specie francesi, tedeschi, olandesi (dal valore di 100 mln € a gamba, alti, pesanti, arroganti), si sono sgonfiati di fronte a squadre operaie, capaci di superare, sempre, la soglia limite della fatica. Il massimo del ridicolo lo hanno raggiunto i francesi, con la rissa finale fra madri e padri dei loro campionissimi multietnici. Paccottiglia radical, senza chic.

Imbarazzante la baronessa Ursula von der Leyen che in odio a Boris Johnson, alla Brexit, al successo del vaccino AZ, e pure per nascondere la sua inettitudine commissariale, si era imbardata come una tifosa dei Parioli, Che tristezza, quando il senso del ridicolo non alberga più neppure nell’aristocrazia germanica.

E noi cittadini? Noi dobbiamo ricuperare fierezza di essere italiani e autostima, come i ragazzi del calcio. Così, semplicemente, facendo bene il nostro lavoro. Forza Italia!

Zafferano.news

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