Nel mondo della gig economy tutto deve essere coerente allo stile di vita sotteso alla sua filosofia. Se i ricchi vanno per sfilate, per boutique, quelli dei lavoretti vanno per mercati delle pulci: mi pare ovvio. Come grande viaggiatore, consiglio il bazar di Chor (Mumbai), imperdibile. Dopo la globalizzazione selvaggia, anche i mercati delle pulci hanno trovato un nuovo riposizionamento prodotto-mercato. A fronte della caduta della qualità dell’offerta in Occidente, c’è stata, per la legge dei vasi comunicanti, una sua crescita in Oriente, così la “media globalizzata” è assicurata. Che altro è la globalizzazione se non la tristezza di uno e la soddisfazione dell’altro che, si spera in amicizia, si compensano? Infatti, Chor è come rifiorito, ci sono persino mobili vittoriani e lampadari di Murano, un tempo della nostra classe media passati tal quali a quella indiana di nuovo conio. Certo, a Chor le pulci ci sono ancora, eccome, ma sono ingrassate, mentre le nostrane, molto cresciute di numero, si son fatte anoressiche. Per fare un confronto, ho visitato il celebre mercatino di Ventimiglia: rispetto a solo dieci anni fa, è imbarazzante, banchi cinesi con paccottiglia terzomondista, meglio Chor. Noi ci vantiamo di conoscere l’arte dell’arrangiarsi, ma Chor ha tanto da insegnarci. Visitarlo equivale a un master sul mercato delle pulci, è come il mitico mercato di Wall Street, unici due luoghi ove vale le legge di Chor: “Qualsiasi cosa ti rubino nel centro di Mumbai, stai tranquillo, la puoi acquistare poco dopo al Chor Bazar”.
In fondo, cos’è il festival di Sanremo se non un bazar, una Chor ove si parla italiano, si mangia farinata, anziché pav bhaji (pronuncia paobaagi). Del bazar, Sanremo ha tutto: rumori, odori, amori, viltà, violenza, e pure pulci di varia grammatura. E’ rimasto una sintesi in musica della nostra cultura nazional popolare. Questa tutto esalta e tutto copre. Bene hanno fatto le nostre autorità a blindarlo, il Festival ormai è il nostro tabernacolo, qua, quel che resta della nostra storia è custodito.
Alcuni numeri sono incredibili per un bazar. Le telecamere che garantiscono la sicurezza dell’Ariston sono 274, immagino neppure la Casa Bianca sia così protetta, visivamente. Un numero imprecisato di “uomini camera” gira giorno e notte intorno alla zona rossa dell’Ariston, a una centrale operativa arrivano segnali continui, suppongo superiore a quella del mitico Bertolaso, quando la Protezione civile era tale. Lui non aveva però l’innovativo “esacottero”, una specie di drone di ultima generazione, che, H 24, si libra sui tetti dell’Ariston, tutto vede, tutto registra e trasmette. A un uomo? A un algoritmo? Chissà.
Un informatore locale mi ha raccontato un episodio eccitante. Un fascio di volantini pubblicitari lasciati in una aiuola adiacente al Teatro, un pugno di materiale informatico dimenticato in un angolo della sala stampa, hanno innescato l’allarme, l’Ariston è stato fatto evacuare e perquisire, rivoltandolo come un calzino, per dirla alla Piercamillo Davigo. Immagino i problemi creati alle 240 testate giornalistiche presenti (47 straniere), per un totale di 558 giornalisti, così ai 110 fotografi, alle 228 radio e tv con 725 accrediti. Se a questi si aggiungono 600 artisti e tecnici dei 200 eventi collaterali, siamo in presenza della più imponente sfida alle forze del male per proteggere un bazar: neppure l’Isis potrebbe farcela con Sanremo.
L’entrata ogni sera del pubblico nel teatro è evento magico, gestito da un protocollo tecnologico rigidissimo, con la copertura degli 007 della Polizia postale che setacciano tutte le radio frequenze, garantendo che ogni onda, anche la più sfigata, gravitante sull’Ariston non faccia ammosciare i celebri garofani di Sanremo.
Una domanda non mi dà tregua, e un’irritazione profonda non mi abbandona. Come può un Paese con queste mostruose capacità organizzative avere 200 di spread, mentre la Francia, con ai vertici solo politici corrotti e incapaci 76, e la Germania, dove per la sua guida se la battono due come Angela Merkel e Martin Schulz (con quel profilo fisiognomico l’algoritmo del Festival li fermerebbe già in piazza Colombo), addirittura zero? Non trovo risposte. Sanremo, difendici tu, sei l’ultima trincea.
Riccardo Ruggeri