Il 1941 fu l’anno nel quale divenne chiara l’atrocità del nazismo, delle persecuzioni razziali, eppure, curiosamente, un esteta, un dandy, l’inenarrabile BiBi (Bernard Berenson, vedere “Da Boston a Firenze”, Adelphi), scriveva: “ …. La fragilità della libertà e della cultura aprirà la strada ad una società retta da biologi e da economisti, guardiani platonici, dai quali non verrebbe tollerata attività o vita alcuna se questa non collaborasse a un fine strettamente biologico ed economico” …. “In un tale mondo governato da Oxford e da Cambridge, da Harvard e da Yale, da laureati della più alta reputazione, fieri del loro spietato senso del dovere, ma inebriati dai fiumi del potere, incapaci di dare ascolto ai non iniziati e proclivi a ridurci schiavi dell’agente delle tasse e a soggetti da laboratorio per lo psicanalista governativo, ci può essere posto per una ricreazione fisiologica sotto varie forme, ma di certo non ve n’è alcuno per le arti umanistiche”.
Lo confesso, non mi capacito come un uomo che sognava di “diventare ed essere un’opera d’arte, non certo un artista”, in pieno nazismo, riuscisse a proiettarsi e a descrivere in modo così perfetto un mondo che mai sarebbe stato il suo, visto che questo mondo sarebbe nato cinquant’anni dopo (caduta del muro). In quest’ultimo quarto di secolo si sono succeduti Bill Clinton, George Bush, Barack Obama, così i mini leader europei che in loro si sono specchiati. Eppure negli anni Settanta Ivan Illich ci aveva dato la sveglia, scrivendo che il sistema educativo euro-americano insegnava a “pensare da ricchi per vivere da poveri”. La Chiesa cattolica lo espulse, credendolo marxista, in realtà era un uomo mite che aveva capito come sarebbe finita.
Dobbiamo attendere un libro del 2014 “Les Transclasses ou la Non-Reproduction” della filosofa francese Chantal Jacquet per arrivare a definire “transclasse” quegli individui in cui si verifica un dislivello tra la propria condizione sociale e le risorse economiche per finanziarla. Li chiamerei transgender economici, cioè borghesi in corpi operai, ovvero proletari in corpi borghesi. La confusione fra stile di vita e vita vera (a favore del primo) è palese in costoro. Per quelli della mia generazione, che si sono avvalsi dell’ascensore sociale e sono diventati élite (o addirittura establishment) in questo schema hanno collocato i propri figli e nipoti. Questi hanno ricevuto un’educazione elevata, hanno seguito percorsi culturali corretti, il loro stile di vita (coerente con la vita) è stato disegnato sulla base di quello del padre, così quello che a loro volta questi avrebbero trasferito ai loro figli.
Ma con il modello del ceo capitalism vincente, il loro conto economico non è più in grado di sostenere questo stile di vita. I primi perdono il lavoro, i secondi pagano per lavorare (o peggio pagano per sperare di lavorare, curiosamente oggi è più facile accedere al credito che al lavoro). E allora che fanno? Educati secondo l’analisi di Illich, entrambi sostituiscono il reddito con il patrimonio del nonni, facendo ciò il loro destino è segnato. Alcuni tenteranno con l’emigrazione, ma stante il combinato disposto globalizzazione-automazione, gli spazi sono ridottissimi, tutti elimineranno la demografia, infine collasseranno con le loro inutili lauree e master, con i loro seni finti, i loro corpi scolpiti dal fitness, dopo aver abbandonato la dieta vegana (troppo costosa) per tornare a Porta Palazzo (Torino) dove, certi sabati, e una coda infinita, trovi 12 uova (dell’uovo nulla più hanno se non la forma esterna) a 1,50 €.
Il processo di degrado pare segnato: gig economy, sharing economy, reddito di cittadinanza, zombie. Per quelli che non accettano, meglio defilarsi, non collaborare, votare sempre No, aspettare nelle catacombe della società aperta (quella di George Soros), tanto qualcosa succederà, non può finire così.
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