In questa settimana ho avuto da molti lettori e follower caldi inviti a esprimermi sul prossimo Presidente della Repubblica, per dirlo brutalmente mi hanno sfidato: “Preferisce Silvio Berlusconi o Mario Draghi?” Rispondo come divertissement intellettuale, non certo come suggerimento personale.
Confesso che come apòta il dilemma non mi eccita per nulla, essendomi chiaro quale impatto reale abbiano, da almeno trent’anni, nel mondo del CEO capitalism dominante, le due cariche, Presidente e Premier della Repubblica italiana. Il tutto si riduce per il prescelto di vivere sette anni, a canone zero e spese condominiali a carico della proprietà, in un meraviglioso palazzo nel centro di Roma, protetto da giganteschi corazzieri, svolgendo un ruolo politico notarile, nel rispetto di una Carta Costituzionale.
Anni fa, in termini politici, ci siamo liberamente inseriti in un modello organizzativo governato da trattati (via via firmati e approvati dai singoli parlamenti di 27 paesi europei) con norme, procedure, protocolli scritti da sofisticate società di consulenza terze, con l’execution primaria affidata alle stesse, che hanno messo a punto, tra l’altro, un “pilota automatico”, al quale è demandata la gestione dell’intero sistema politico ed economico e, purtroppo, sempre di più, di quello culturale.
Il dilemma mi ha fatto venire alla mente uno dei celebri “esperimenti mentali” del filosofo americano Bernard Williams. Eccolo:
“Jim si trova nella piazza centrale di una cittadina sudamericana. Legati contro il muro ci sono venti indios, di fronte a loro molti soldati in uniforme. Stabilito che Jim, membro di una missione scientifica (botanica), è lì per caso, il Capitano gli spiega che gli indios si sono rivoltati al Governo, quindi saranno fucilati per ricordare alla popolazione tutta gli svantaggi della protesta. Però, stante che Jim è un onorevole ospite straniero, il Capitano è felice di offrirgli, come privilegio che si deve a un ospite, di uccidere lui un indio, salvando automaticamente la vita agli altri. L’alternativa mette Jim in una situazione di grande disagio. Se accetta, costui muore ma i diciannove rimasti saranno liberati. Se rifiuta, il Capitano farà quello che stava per fare quando Jim è arrivato lì per caso, cioè ucciderli tutti e venti.”
Il dilemma di Jim è drammatico. Se spara personalmente a uno degli indios, ovviamente scelto a caso, significa che ha fatto una valutazione che eticamente non gli compete, anche se si è fatto assassino per uno scopo nobile, salvare la vita a tutti gli altri (i colti lo chiamerebbero modello etico consequenzialistico, molti cittadini normali “il male minore”). Se rifiuta, significa che ha preferito un’opzione leggibile sia come scelta alta di un dovere morale riferito a un principio universale (i colti lo chiamerebbero modello etico deontologico), sia come convinzione che non esista una terza via (il celebre “Scegliere il male minore è in ogni caso scegliere un male” disse Hannah Arendt).
Sul Corriere del Ticino, Francesca Rigotti ha scelto lo schema di Williams per ragionare sulla pandemia, scrivendo: “Perché sempre male è, anche se pesa meno, e l’etica dei principi non giustifica le scappatoie motivate dall’utilità imminente. E allora: dobbiamo sforzarci di vincere la pandemia senza venir meno ai valori dei diritti e della democrazia.”
Tornando a noi, caso molto meno drammatico, mi pare che la scelta per i 1009 grandi elettori di questo parlamento (fra i peggiori della storia repubblicana, sia chiaro, ma i colpevoli siamo noi cittadini che li abbiamo eletti, non loro), sia obbligata: eleggeranno colui che, avendolo inventato, sa maneggiare con più scioltezza il “pilota automatico”, grazie al quale tutti loro campano, e contano di campare fino al 2023, mentre i cosiddetti “competenti” ingrassano, come è sempre successo.
Come diceva quello, “tutto il resto è noia”. Prosit!