Chi l’avrebbe mai detto che avrei assistito (Cbc News) alla separazione in diretta fra l’onnivoro David Poon e la sua amata, una ragazza vegana, per tradimenti non di letto ma di frigo. Nessun gigolò, nessuna escort infilatesi nella loro alcova, ma banali cetrioli e fegato alla veneziana ingurgitati in gran segreto, pieni di sensi di colpa, all’insaputa una dell’altro. Poi la scoperta del tradimento alimentare, la fine di un grande amore. Non più “Cielo, mio marito!” dei nostri nonni, ma “Cielo, il macellaio!”. A questa filosofia dell’alimentazione così culturalmente avanzata hanno dato il nome di “Food porn”, locuzione attribuita alla femminista Rosalind Coward, autrice del fondamentale Female desire (Desiderio femminile, 1984). Devo confessare che un concetto simile l’avevo trovato ben prima in un libro di Roland Barthes (Mytologies) che per un anno (credo fosse il 1960) sconvolse la mia vita sentimentale. Il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale, è feroce: “E’ la messa in scena che prevale”, cioè il fenomeno del food porn si ferma sulla superficie del cibo, mostra ma non racconta. Traduzione: fuffa. In realtà, la pornografia dal talamo si è trasferita alla tavola, il sesso nel piatto. Che fare, direbbe Lenin?
Sul cibo ho tutt’altra visione, lo inquadro nel sogno del vivere a lungo (non in eterno, purtroppo). Nella Genesi ci sono due alberi, quello della Conoscenza (il Bene, il Male, i frutti proibiti), quello della Vita (i cui frutti avrebbero permesso ad Adamo ed Eva e ai loro discendenti vita eterna). Per fortuna ci sono anche scienziati non perdigiorno. Questi hanno messo in correlazione la genetica e l’ambiente con l’alimentazione e lo stile di vita come cause prevalenti di longevità. In termini tecnici le hanno chiamate “zone blu”: hanno usato questo colore per indicare le zone del globo con un’altissima incidenza di centenari. Cinque si distaccano da tutte le altre: 1 Barbagia e Ogliastra (Sardegna); 2 Isola di Ikaria (Grecia); 3 Isole di Okinawa (Giappone); 4 Penisola di Nicoya (Costarica); 5 Loma Linda (California).
Tutti sono onnivori totali: le carni sono di animali da pascolo, non allevati con mangimi industriali, i pesci sono sardine e acciughe, i cereali integrali, frutta e verdura solo di stagione, alcol il giusto (poco), i dolci solo nelle feste comandate, un pugno di noci e mandorle ogni giorno, the verde a volontà in Giappone, il caffè negli altri luoghi. Stile di vita non sedentario, niente droghe, sopra tutto farsi e dedicarsi a un orto.
Un vecchio film del 1973 (La grande abbuffata) di Marco Ferreri aveva anticipato il futuro. Un gruppo di amici si mette a tavola, cominciano a divorare prelibatezze e continuano a mangiare e a godere, fino alla morte, le papille gustative hanno orgasmi multipli fino a ucciderli. Con il “Food porn” ci si ingozza non attraverso la bocca ma gli occhi, la visione compulsiva di piatti salutisti trovati sul web porta a una sindrome specifica, scoperta recentemente. Si chiama “Orthorexia nervosa” una fissazione nervosa per una alimentazione tanto sana quanto impossibile da realizzare. Questo obiettivo irraggiungibile potrebbe portarli alla morte per inedia, per rinuncia. Speriamo che questo segnale debole, il cibo come icona, non prefiguri un’epoca di scarsità. E allora, anziché farci queste inutili seghe mentali, perché, nel limite del possibile, sopra tutto quelli che possono permettersi di privilegiare la “vita” rispetto lo “stile di vita”, non cerchiamo di riflettere sulle cinque zone (blu) del pianeta? E fare diventare “blu” la nostra “vita”, abbandonando l’idiota “stile di vita” del ceo capitalism al quale sottostiamo?