Conobbi Steve Bannon nell’estate del 2016. Vivendo in solitudine nei miei amati interstizi (vado in società solo per presentare i miei libri, chiunque mi inviti io accetto) non l’ho certo conosciuto personalmente, ma l’ho studiato, gli ho dedicato addirittura tre pagine del mio libro “America. Un romanzo gotico” (Marsilio editore), quando era uno sconosciuto. Grazie alla sua altrettanto sconosciuta piattaforma Breitbart, in appena 90 giorni fornisce un contributo determinante all’elezione di Donald Trump. Per questo viene messo nel mirino dalla classe dominante dem-rep (nel frattempo Bill Clinton, George Bush, Barack Obama si erano rivelati parte dello stesso gomitolo politico).
Viene criticato a sangue dalle élite dem per aver applicato la piattaforma Breitbart. Questa altro non era che un’evoluzione della piattaforma VoteBuilder che aveva raccolto 72 milioni $ attraverso micro donazioni, e fatto eleggere, per due volte, Barack Obama. In realtà, furono non solo i 72 milioni, ma il loro sottoprodotto, cioè la “profilatura” dei donatori a fornire informazioni sensibili che lo porteranno alla Casa Bianca, con il supporto determinante dei troll di Silicon Valley e di Wall Street. Secondo i media di regime (praticamente tutti, salvo Fox e WSJ) la piattaforma di Barack Obama era innovativa e democratica, quella di Steve Bannon fascistoide. Questo marchio d’infamia gli è rimasto, e viene trasferito a tutti quelli che contatta. E’ il Ceo capitalism, bellezza..
Steve Bannon lo apprezzo solo per la sua storia personale, non certo per le sue idee avventurose (e vecchie), e neppure come individuo. A pelle, non mi piace per nulla, trovo orrenda questa modalità di sussurrare all’orecchio dei potenti. Però lui è un figlio dell’ascensore sociale che ha fatto grande l’America, fino all’arrivo del Ceo capitalism. Per gli amanti nostrani dei CV il suo è al top. Famiglia cattolica irlandese, tutti i quarti di nobiltà della working class americana, padre operaio (posatore di cavi) in Virginia, lui brillante negli studi (laurea in pianificazione urbana alla Georgetown, MBA con lode ad Harvard), ufficiale di Marina, funzionario al Pentagono, diventa ricco lavorando per Goldman & Sachs, fa il produttore a Hollywood (entra in Seinfeld, di cui ancora oggi incassa ricche percentuali). Niente chiacchiere tutta execution.
Due fatti lo segnano: a) Il 9/11 lo convincono come la cultura dominante dem. stia uccidendo l’America (per quel che vale, nulla, la pensai così anch’io); b) La crisi del 2008 la vive come un atto criminale di Barack Obama che salva le Banche e i Ceo e uccide i piccoli risparmiatori (mi associo). Vive il caso di suo padre, costretto dal modello americano a crearsi, prima un piccolo patrimonio destinato alla pensione, obbligato poi a svendere nella crisi della borsa, diventando da vecchio, anziché un pensionato un povero. Per sua fortuna il figlio diventa multi milionario, si carica di un odio (sano) verso le élite globali e si dedica a “confezionare un’informazione personalizzata, strutturata come un sussurro all’orecchio”. Nel libro concludevo il capitolo a lui dedicato: “Questi sussurri sono da brividi, non c’è dubbio, ma non è forse quanto stiamo subendo da un quarto di secolo per mano della piattaforma liberal-liberista dei vari NYT, FT, Economist?.
Secondo me Steve Bannon è sì un arrotino della politica ma non è utile all’Italia, lui è uomo di innesco, e da noi la miccia è già stata accesa, presto capiremo quali altri scenari si paleseranno. Una cosa è certa: sta nascendo un establishment alternativo, possiamo ironizzare sul suo apparire buzzurro, ma presto le élite dovranno prenderne atto e schierarsi. Sono i momenti in cui è bello essere un apòta.