Sono tornati gli arrotini D’Alema e Prodi. Se potessi scoprire che intenzioni hanno …..

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L’ho scritto più volte, come studioso delle leadership sono affascinato dall’ultimo miglio del percorso in discesa di leader già potenti. In questo senso, i casi Massimo D’Alema-Romano Prodi sono identici ed esemplari. Dopo tanti anni lontano dal potere, la presa d’atto che tornarci sarebbe stato impossibile, la certezza che Matteo Renzi non potrà mai offuscarli (in effetti è sempre più raggomitolato fra vendetta e velleitarismo; come in verità, all’inizio lo furono pure loro), la perdita dell’allure presidenziale di Giorgio Napolitano per eccesso di presenzialismo, li ha trasformati, psicologicamente e umanamente. L’analisi la proietto su di me, non li ho mai apprezzati (come personaggi, non certo come persone, per quel che so perbene) eppure oggi intellettualmente mi coinvolgono, mi paiono diventati altri. Persino fisicamente sono migliorati, li vedo magri, scattanti, con quel raro filo di abbronzatura che chiamo novembrino (il tempo della barca è lontano, quello dello sci prematuro) che era un’esclusiva dell’Avvocato Agnelli.
Non parliamo poi degli atteggiamenti, del linguaggio del corpo, delle battute (in certi momenti D’Alema sembra il primo Woody Allen, Prodi scandisce le parole come fosse un oracolo), comunque sia sono diventati due guru, distribuiscono perle, non capiamo ancora cosa vogliano in cambio. Possibile che sia solo uno straccio di visibilità senile?

Lo confesso, sono stupefatto del loro distacco nell’osservare la fine del sogno di una vita, il Pd, nato come un matrimonio fra ex comunisti e ex democristiani, contro natura fin dall’inizio, che ora trova il suo finale ovvio: il disfacimento dell’intera costruzione. Li osservo nell’ottica “attenti a quei due”, e un primo segnale debole l’ho colto in entrambi. D’Alema non sottolinea più né la sua internazionalità di vita e di pensiero né il suo contributo intellettuale alla riforma di una cultura socialista europea, non si dà più un profilo di un uomo dedicato alla riflessione politica come se fosse un Priore di Bose laico. Prodi ha abbandonato l’atteggiamento di uno che si faceva intervistare con la carta d’imbarco in mano (non si sapeva mai se proiettato verso la via africana o la via della seta) e noi ci chiedevamo come fosse possibile, ogni volta, partire dall’Italia, senza mai tornarci.

Immagino che la nuova legge elettorale (proporzionale con premio) comporti un ridisegno completo dello scenario competitivo dei partiti, l’opposizione a leader “proprietari”, il ritorno al magico mondo della politica come successione di compromessi, il ritorno alle convergenze parallele 4.0 (e allora via Salvini e sì a Zaia, via Lotti e sì a Calenda, via Figo e sì a Di Maio, via Brunetta e sì a Romani). Insomma ri capovolgere il mondo già capovolto da Berlusconi e da Renzi, sotto la regia di Napolitano. Basterà?

D’Alema e Prodi l’hanno capito per primi che un periodo politico è finito, che Renzi era l’ultimo esemplare del passato e non, come lui credeva, il primo di un mondo nuovo. Percorreranno a ritroso la Via della Seta e quella da Bruxelles? Torneranno in Italia con armi e bagagli per restarci? Vorranno risedersi a capotavola, dicendo “capotavola è là dove ci sediamo noi”? Vorranno dare loro le carte? Saranno, come succedeva nella Prima e nella Seconda Repubblica, carte truccate? Dobbiamo pensare che sono tornati gli arrotini? Quei due che intenzioni hanno? Lo capiremo solo vivendo. Questo è il vero problema, per quelli di una certa età, come me.

Riccardo Ruggeri

 

 

 

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