PROTOCOLLO ZAFFERANO: CRISI DEI GIORNALI (trascrizione del podcast)

Mi chiamo Riccardo Ruggeri. Una dozzina d’anni fa, quando avevo già 72 anni, abbandonai tutte le attività che praticavo (imprenditore, consulente internazionale di business e di management, creatore di start-up). 10 anni prima a 62 anni avevo abbandonato l’attività di ceo di multinazionalli.

Decisi che l’invecchiare per me non doveva diventare un’attività.

Cominciai a scrivere libri, divenni un microeditore di saggi, alcuni quotidiani pubblicavano un mio pezzo giornaliero, il “cameo”.

Come mi era sempre successo per altri business che avevo praticato mi innamorai del prodotto “giornale”. È stato un amore senile, quindi un grande amore.

Capii subito che questo era un mondo in rapido declino, lo amai ancora di più.

Avendo passato gran parte della vita a operare in aziende tecnicamente fallite, sapevo come si faceva a tentare di risanarle.

Decisi di studiare da dietro le quinte il problema, per puro divertissement intellettuale non avendo alcun interesse personale.

Intanto osservavo cosa facevano gli editori e i giornalisti di vertice di fronte alla crisi.

Facevano l’opposto di quello che si doveva fare ma esattamente quello che facevano tutti: un ottuso taglio dei costi senza uno straccio di respiro strategico. Cura che si trasformava in eutanasia.

Cioè: licenziare le persone partendo dal basso anziché dall’alto, abbattere i costi in modo lineare anziché’ verticale.

Per fare il mestiere di risanatore occorre invece avere, se del caso, il coraggio di cambiare il paradigma strategico e al contempo tutti i comportamenti organizzativi relativi. In altre parole rivoltare modello di business e modello organizzativo come un calzino.

Invece, nulla. Al cadere dei volumi, quindi dei ricavi, si abbattevano i costi, con la ridicola tecnica “lineare”. Si praticavano ottimizzazioni attraverso “tagli e cuci”, poi fusioni, scambi di pacchetti azionari, giochetti finanziari di ogni tipo, definizione di governance complicate, sostituzioni del management di vertice alla ricerca di un mandrake, in una continua rincorsa ricavi-costi.

Ma erano sempre i costi a menare le danze, e curiosamente più facevi i tagli più erano insufficienti.

Dopo i licenziamenti si passava all’autoriduzione degli stipendi, al part time, ma la rincorsa non si fermava. Raggiungevi l’obiettivo parziale che ti eri dato, ma la caduta dei ricavi ti ricacciava subito indietro. Era come se non avessi fatto nulla.

Quando andava bene, serviva a ridurre la velocità verso il baratro.

Nella storia del business e del management di quest’ultimo quarto di secolo (io lo chiamo l’osceno tempo del ceo capitalism) questi fenomeni sono avvenuti in tutti i settori di business, molti i morti, pochi i sopravvissuti, spesso storpi.

Tardivamente editori e giornalisti di vertice capirono che sarebbe toccato anche al loro business.

Anche loro, casta sacerdotale, avrebbero dovuto autoridursi lo stipendio, rinunciare a bonus, a benefit, a privilegi consolidati. Nella scala sociale erano via via indietreggiati, perché’ questo prevedeva lo sciagurato modello in essere che i loro colleghi di vertice esaltavano ancora nei loro editoriali di fondo e di spalla.

Ora siamo a fine corsa, però c’e’ l’ultima carta a disposizione: il “paywall”.

Per quello che vale la mia analisi (nulla) credo al paywall come soluzione di breve, tattica, non certo strategica. Ti regala un po’ di tempo ma potrebbe non essere risolutivo.

E se non funziona? L’avranno un piano “B”? Sono attrezzati intellettualmente per concepirlo e implementarlo? Vedremo.

Per puro divertissement intellettuale, e fissato come sono dell’execution, in questi anni io un piano “B” l’ho messo a punto. E’ il protocollo zafferano.

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