Rassegna stampa del Cameo

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1 “La web tax slitta al 2019 per estenderne lo spettro”. Sono in una tenaglia, miei grandi amici la Web tax o l’hanno proposta e votata o l’hanno ferocemente combattuta, ma io resto della mia idea: è stato sbagliato farla, non perché non fosse giusto, ma perché si dà dignità a chi non lo merita. I “mostri” (Big Five e compari) si eliminano tagliando loro la testa, non usando ridicoli mostriciattoli, che non gli fanno né caldo né freddo.

2 “Commissione Banche: domanda di un commissario a Visco”. Dal Moro: “Sa cos’è BIM?”. Visco: “Sta scherzando, spero”. Mi rifiuto scrivere il partito di appartenenza di costui.

3 “Lindner: Merkel ha fallito sui migranti, va fermata”. Poveri tedeschi, si accorgeranno presto dei danni fatti in dodici anni da un leader scialbo (e sopravvalutato) come Angela Merkel. Un mandato di cinque anni basta e avanza. Se Barack Obama se ne fosse andato dopo il primo mandato, l’Occidente ora godrebbe di una miglior salute.

4 “Fake news istituzionali che durano l’espace d’un matin”. Dieci giorni fa esce una notizia bomba: “Ritrovato un appunto di Giovanni Falcone: Berlusconi paga i Boss di Cosa Nostra” e giù una paginata di un prestigioso e puntuto quotidiano. Poi, silenzio. Dopo dieci giorni, lo stesso giornale interroga chi i verbali li ha materialmente scritti (non poteva farlo prima?) e questi dice: “Il pentito Mannoia parlò a Falcone di quattrini dati per proteggere i ripetitori tv in Sicilia, ma non fornì alcun riscontro” (insomma, chiacchiere da bar). Incredibile: si crea una fake istituzionale poi la si smantella. Immaginiamo i lettori che hanno letto la prima fake e non la seconda che l’ha smentita.

5 “C’era un cartello fra ditte per spartirsi 2,7 miliardi Consip”. Scoperta l’acqua calda, il “mercato” nelle gare pubbliche o private è questo da sempre, dove c’è una gara c’è il  cartello. Molti i suoi travestimenti, ne cito due: a) “offerte di appoggio” per alterare la media dei punteggi; b) “offerte a scacchiera” per evitare sovrapposizioni. Nessun magistrato le proverà mai, senza l’auto denuncia dei contraenti.

Trent’anni fa chi operava nel business delle multinazionali sapeva che, per esempio, i Ceo dei Big delle costruzioni (una decina) si trovavano tutti i mesi in una saletta dell’aeroporto di Zurigo dove si dividevano le grandi commesse del mondo (dighe, porti, autostrade, etc.), costruivano le offerte prevedendo vincitori e perdenti. Provo tenerezza verso quelli che in buona fede credono alle balle che circolano sul mondo del business, di cui parlano con dottrina e arroganza, ma non conoscono per nulla.

6 “Creare un piatto non è tutto, un grande cuoco sa raccontare”. Splendida intervista a Matteo Baronetto, Chef stellato del Cambio di Torino. La condivido parola per parola. Se frequenti l’altissima cucina dei top 50 capisci che non sono più cuochi ma “maestri di cucina”, sopra tutto sono “comunicatori politici”. Da loro vado non per mangiare i piatti del menu, già i loro riti mi stancano (di norma, un’insalata stile Enrico Crippa e spaghetti al pomodoro fresco e un dessert mi bastano) ma per ascoltarli. Mi è utile per capire dove sta andando il ceo capitalism. Grazie a loro, anni fa, ho capito che all’establishment non interessa migliorare la “vita” dei sudditi ma vendere loro uno “stile di vita” (un mix di fuffa e di cipria, come i piatti dell’alta cucina), che loro declinano dando un’importanza sproporzionata all’impiattamento, autentiche sculture di cibo su ceramiche pregiate. “Stile di vita”, appunto.

Il ceo capitalism in fondo che altro è se non due amusebouche spacciate per primo e secondo piatto? E questi chef che altro sono se non orafi (con pinzette e bisturi) del cibo povero, spacciato per ricco? Baronetto lo spiega bene narrando del pagello preparato per Andrea Agnelli, “al profumo dell’acqua di mare”, pensa te.

www.riccardoruggeri.eu

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