Torino ha dimostrato di non essere ancora culturalmente attrezzata per la resilienza civile

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Questo Cameo non ha alcuna ambizione: né di aver capito perché il terrorismo islamico continua a colpire, né se sia corretta la strategia di difesa messa a punto dai paesi europei. Essa si basa sulla teoria che i più colti di noi chiamano della “resilienza civile”, cioè non solo i cittadini non devono farsi condizionare, né politicamente né psicologicamente, da questi eventi, ma mai devono rinunciare al loro attuale “stile di vita”: consumi e Pil prima di tutto. Molti si compiacciono con gli inglesi che, pare, siano i migliori nel non farsi condizionare da tali eventi, pronipoti di quelli che nei primi anni ’40 resistettero impavidi alle V2 naziste, ma guai fare collegamenti con il passato, si cadrebbe nella più bieca volgarità razzista, e il Sindaco di Londra, Sadiq Khan, non ce lo perdonerebbe, mai. Dobbiamo imparare a muoverci sul sottile crinale che sta fra il politicamente corretto e la sottomissione non manifesta. Nel fine settimana ci sono stati due eventi, uno andato in questa direzione (Londra) e uno no (Torino).
Gli esperti dicono che la tecnica usata a Londra sia la stessa di quella di applicata in Francia nel 2015: “attacco a grappolo”, cioè una serie di azioni coordinate da più commando che entrano in gioco in simultanea, seppur su obiettivi diversificati. La modalità usata dai terroristi è quella più recente, detta jihad low cost, non armi da fuoco ma banali coltelli da cucina, furgoni e camion usati come killer mobili (noleggio da 20 £ giorno), dichiarata trasparenza religiosa (“Lo facciamo per Allah”). L’importante è che siano nati in Europa, quindi compagni che sbagliano da ricuperare al vivere civile.
La reazione prevalente è quella del politicamente corretto dei liberal. Da Obama agli attori di Hollywood, da Corbyn a Bergoglio, identici gli slogan: a) quando l’attentato avviene il primo commento è: “shock e orrore”, poi, b) “le comunità cristiano-islamiche si devono unire, ma guai cambiare l’attuale stile di vita”. Con queste belle parole e concetti ogni evento viene deglutito e digerito, ogni volta più in fretta: ormai tre giorni bastano per l’intero ciclo, dall’analisi al rammarico. Poi ci sono le destre, Theresa May sbotta in un banale “Quando è troppo è troppo”. Altrettanto banale Trump, insiste nel vietare l’ingresso in America dei cittadini di 6-7 paesi musulmani. Si dimostrano leader all’antica: non capiscono che all’odio bisogna rispondere con l’amore.
I più fortunati, o i più abili, siamo noi italiani: finora nessun attentato, su questo non si discute. Perché? I nostri servizi segreti sono i più efficienti? Oppure ci viene riconosciuta la totale disponibilità a prendere tutti i migranti che si mettono in mare, quindi ci premiano per questo? Con certezza non lo sapremo mai.
Torino ha dimostrato che la teoria della “resilienza sociale” applicata al terrorismo islamico, almeno per ora, da noi italiani non funziona. Piazza San Carlo era una bomboniera, piena di polizia, i tifosi juventini erano uno spaccato dell’Italia, giovani, anziani, bambini, venuti a festeggiare un trofeo, fiduciosi, tranquilli, si godevano la partita, improvvisamente un colpo sordo (Una cancellata caduta?, Un petardo? Una bravata?), la “psicosi da terrorismo” (islamico?) rompe gli argini, la folla pare un banco di sardine impazzito, qualcuno cade, molti vengono calpestati. Pur essendo a un centinaio di metri da piazza San Carlo ho seguito in tv quei momenti drammatici, terrorizzato ho ricordato il monito (filosofico) di mio papà: “Guai cadere, ti calpestano”.
Torino ha dimostrato che la teoria della resilienza civile non funziona per i non eroi come noi, la psicosi del terrorismo islamico è entrata nel nostro cervello, nelle nostre fibre, qualsiasi evento che ci fa paura viene vissuto in modo ossessivo, dietro a ogni diverso vediamo un terrorista, qualsiasi rumore lo riconduciamo a un’arma da fuoco, abbiamo paura di essere calpestati. Siamo rimasti all’antica, molta strada ci attende per rispondere con l’amore all’odio.

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