Una pausa a Basilea per cercare segnali deboli: la mia spezia

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1Amo molto Basilea, per svariati motivi. Grazie alla sua alta percentuale di universitari è meno ottusamente pulita di altre città svizzere. Ha una grande quantità di musei e di gallerie d’arte, è una specie di capitale dell’arte contemporanea, è stata ed è ricca grazie alle spezie. Ho scritto, molti anni fa, che avendoci messo trent’anni a capire Pablo Picasso, da allora dell’arte contemporanea mi sarei limitato a guardarla con estremo interesse, senza però lasciarmi coinvolgere. Capii dopo il perché, Picasso mi aveva prosciugato, aveva spezzato le fibre più interne della mia anima. Sono sempre stato bulimico di ogni nuova espressione artistica, però da anni mi ci abbuffo all’inizio, ma subito le abbandono, mai acquisterei un’opera di arte contemporanea. La prima volta mi piace alla follia, mi eccita, la seconda la rifiuto, ed è per sempre. Gratta, gratta c’è qualcosa in loro che animalescamente mi turba. Ho la sensazione che mi vogliano rifilare un bidone. Non ho le prove, ma sono certo che sia così: Picasso mi ha bidonato.

Invece, quando sono a Basilea non mi stanco mai di prendere (e riprendere) il battello per Rheinfelden, percorro il Reno nella sua corsa fra la Svizzera e la Germania, mi godo il volo delle oche sul fiume e le soste (operose) nelle due chiuse, l’immissione dell’acqua che lentamente fa risalire il battello, una tecnologia implacabile lo riporta dove il grande fiume torna calmo, maestoso, mi restituisce a una dimensione umana che mi è propria. Curiosamente, il battello e il confine acquatico fra Svizzera e Germania è l’unico luogo ove mi sento europeo.
Appartengo a quella minoranza di persone che vivono la vita a due dimensioni, strettamente unite: sogno ed execution. Invecchiando, tendo a rifiutare chi campa di sogni (finti) e chiacchiere, facendo la bella vita alle spalle delle generazioni future, in nome di ideologie (vecchie) che loro stessi manipolano in continuazione per adeguarle ai loro interessi. Come sono i cosiddetti europeisti d’accatto.

Poi volevo rompere un digiuno durato un paio d’anni: cenare in un ristorante europeo tre stelle Michelin, solo per capire la profondità della crisi, non certo per piacere (quando voglio mangiare bene vado al Torrione di Vallecrosia o al Nazionale di Vernante), gli stellati, in genere, servono fuffa, presentata in modo impeccabile, da guardare rapiti nel momento in cui ti portano il piatto, ma immediatamente sorriderci sopra e, mentalmente, dire “ma va là”.
Secondo una mia curiosa teoria  finanza, cibo, arte contemporanea, sono sensori tipici di quest’epoca, come ho scritto in  “America Un romanzo gotico”. Apro una parentesi. Sono certo che una lettura politica del pontificato di Papa Bergoglio non può prescindere dal conoscere la motivazione per la quale ha scelto di cibarsi a Santa Marta. Nel mondo vaticano (un amico monsignore è la mia spia) è considerato il top della mediocrità culinaria. Mi chiedo: “Il cibo avrà o no un’influenza sulla qualità di un papato?” Chiusa parentesi.

L’occasione era ghiotta: un signor cuoco (il termine “chef” lo rifiuto, così come l’orrendo “bollicine”), Peter Knogl, corporatura coerente al ruolo (molto diverso dagli chef di regime dalla magrezza pasticcata), appena tristellato (16 anni per passare da 1 a 3 stelle mi tranquillizza: non è uno del giro), brigata di cucina umana (8 assistenti rispetto agli organigrammi da 50 chef e sotto chef delle celebrità). Essenziale il menù: 3 antipasti caldi, 3 freddi, 3 piatti di pesce, 3 di carne, 3 dessert. L’aspetto che me lo fa apprezzare è il rifiuto di andare in tv e non avere alcun profilo sui social, in coerenza con il Grand Hotel Les Trois Rois che ci ospita con la sua impagabile atmosfera fin-de-siecle.

Suggerisco alle mie nuore e figli le città che hanno legami con le spezie, sono state grandi veicoli di cultura e di civiltà: Basilea è una di queste, la capitale delle spezie, ovvio, è Venezia. La cucina di Knogl ha le spezie giuste, come l’ha l’ippocrasso (bevanda medioevale locale a base di vino e spezie), e i Läckerli (dolci con miele, mandorle, noci, canditi e kirsch) preparati nel 1400 per la gran prelatura di Basilea (detto fra noi, e sottovoce, le persone veramente religiose amano la tavola, perché Dio vuole che si sia felici).

Basilea è stata una pausa di riflessione, per ripartire, l’autunno si avvicina, bisogna tornare a combattere contro le felpe californiane. Ormai la mia è una nevrosi senile. Come farei a vivere senza di loro?

Riccardo Ruggeri

 

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