Macché populista, Trump è un capitalista che non prende ordini da Zuckerberg

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Il discorso di Donald Trump al Campidoglio ha confermato che come analista-mago della pioggia non sono affidabile. Peggio, sono pure sfigato, è la quarta previsione che fallisco: Brexit, elezioni americane, referendum italiano, discorso di insediamento di Trump, tutti segnali deboli dal medesimo fil rouge. Dopo lo choc Brexit l’analisi prevalente dell’apparato filo establishment fu questa: tutta colpa dei cittadini anziani, bianchi, poveri, ignoranti, xenofobi, non londinesi. Stessa analisi consolatoria dopo la sconfitta di The Hillary, questa volta i tapini erano gli anziani, bianchi, poveri, ignoranti delle varie “cinture” (della ruggine, della Bibbia, del tabacco, etc.), battezzati come populisti-untori anti sistema. Dopo il No a Renzi si aggiunse la categoria dei giovani 18-34 anni, liquidati come scemi. All’apparenza un’analisi ridicola, avendo però avuto la benedizione del Bergoglio sociologo (El Pais), da cattolico mi taccio.
Come membro marginale dell’establishment, penso invece che nelle elezioni presidenziali ci sia stato uno scontro non fra un suo membro (Hillary Clinton) e un cavallo pazzo-populista (Donald Trump), come da narrazione dei media di regime, ma fra due correnti dell’establishment stesso. In altre parole, il capitalismo delle piattaforme digitali (liberal) versus il capitalismo classico (liberale: io sto con questi). Semplificando: Apple-Google-Facebook versus General Motors-Exxon.

Il discorso di Trump è stato spiazzante, mi attendevo una declinazione secondo il classico “sono il presidente di tutti”, invece no, ha scelto di prendere atto che il paese è spaccato, e confermare la sua posizione a favore dei lavoratori (suoi elettori): “Questo scempio americano deve interrompersi e si interromperà in questo preciso istante”.

Una cosa mi è chiara: Trump non sarà un maggiordomo del capitalismo delle piattaforme alla Obama o alla Clinton, e neppure un banale populista, è un capitalista d’antan, sceso in campo (spinto?) per difendere quel capitalismo, avendo capito l’errore fatale fatto dai “dem” del privilegiare il cittadino consumatore rispetto al cittadino lavoratore, tutto qua. Piuttosto, mi chiedo: è veramente convinto di realizzare quello che propone? Dietro di se avrà l’intero mondo del capitalismo classico? La sua squadra di governo (buona la battuta: “io sono solo Trump, ma loro sono i più intelligenti del Paese”) sarà in grado di realizzare il programma “America first!”?

I fornicatori dem-rep (l’abbraccio fra George Bush e Michelle Obama è stato ai limiti dell’incesto politico), pare stiano pensando di candidare nel 2020 uno come Mark Zuckerberg (sic!), mossa finale per far prevalere il capitalismo delle piattaforme. Curioso che ai radical chic dei salotti e di Hollywood scesi in strada si siano uniti i loro figli travestiti da block bloc.

Mentre il Presidente parlava mi è tornata alla mente una frase di Emil Cioran “Si cessa di essere giovani quando non si scelgono più i nemici”. Di colpo mi sono rivisto il film del giorno prima, qua in Svizzera (Davos), con il capitalismo delle piattaforme prono verso Xi, al quale vengono perdonate le oscenità praticate contro le libertà civili perché lui, a differenza di Putin, sventola la bandiera della globalizzazione. Penosi.

Mi auguro che i sostenitori della globalizzazione selvaggia, del capitalismo delle piattaforme digitali, dopo queste batoste elettorali (il voto dei cittadini viene sempre prima) si fermino, facciano una radicale rivisitazione dei loro obiettivi, delle loro strategie, prendano atto che esiste anche un capitalismo classico che fa altre valutazioni sul futuro del mondo. In soldoni, devono accettare che, tanto per fare degli esempi estremi, così alla rinfusa, ci sia chi alla Merkel preferisce May, a Valls Fillon, all’Iran Israele, a Xi Putin, all’Isis Assad, e così via. Scegliere con chi stare si chiama democrazia.

Se c’è questa volontà di capire, dovrebbero considerare Trump uno choc benefico per farli uscire dall’arroganza intellettuale che da anni li sta devastando, convinti che il loro modello sia l’unico. Se invece, vogliono ripetere un loro privato Sessantotto, facendo sfilare per le strade i membri dei loro salotti e dei loro board, facciano pure. Ma sono solo seghe mentali.

Riccardo Ruggeri

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