Il 4 marzo il mercato della politica è cambiato d’improvviso, quello editoriale è rimasto immobile

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Sono ormai passate tre settimane dal fatidico 4 marzo, dall’inatteso risultato elettorale che ne è seguito. In questo periodo, ho saccheggiato tutte le analisi della mia “mazzetta” cartacea, non mi sono perso quelle comparse su Twitter, nessun talk show è sfuggito alla mia bulimia visiva, alla fine mi sono convinto che i padroni del mainstream hanno deciso di fingere che non sia successo nulla. Titoli mosci, editoriali stracchi, qualche gossip da sacrestia, per ascoltare un’analisi circonstanziata ho dovuto attendere il novantaduenne Giorgio Napolitano. In questi giorni, la vita vera non la trovi nelle pagine della politica ma in quelle della cronaca.

A parte andare a nuove elezioni, cosa a cui non credo perché favorirebbero solo Matteo Salvini, restano due opzioni, una in mano all’establishment (convincere il Pd a diventare “tata-badante” di Luigi Di Maio, suicidandosi definitivamente), l’altra assistere al primo matrimonio (in comune) fra due forze nettamente maggioritarie in due aree del paese (Nord e Sud), due “populismi” (uso con ribrezzo questo termine, ci metto le virgolette, lo scrivo in corsivo, perché per un liberale nature chi non la pensa come me è un avversario politico, non un “populista”). Se riuscissero nell’intento di spaccare il rapporto dei due dioscuri (pare che sia scattata fra loro un’assoluta fiducia, certificata da Beppe Grillo) e trasformare i cinquestelle in un partito succube dell’establishment, Salvini sfonderebbe alle europee del prossimo anno, ingoiando Fi e annettendosi tutto il Nord e il Centro. Possibile che quelli dell’establishment non lo capiscano? Il “populismo” non esiste, esiste il popolo, con diversi stadi di disagio, e alcuni partiti al popolo sono più vicini di altri, tutto qua. Per anni ci hanno ripetuto il mantra “il mondo sta cambiando”, bene ora che sono cambiati, almeno nella politica italiana i rapporti di forza, facciamocene una ragione, e se la nostra stagione è finita prendiamone atto: tutto muore e tutto si rinnova.

L’aspetto curioso, giornalisticamente parlando, è che le elezioni non hanno creato alcun sommovimento fra i Big Five dei quotidiani, sono rimasti tutti allineati e coperti verso l’establishment, anche i giornali corsari (i miei amici del Foglio sono fermi al Partito della Nazione e sfidano i due dioscuri a fare il governo, mentre il Fatto pare critico sull’alleanza fra i due; i giornali sui quali scrivo non avendo la puzza al naso restano sul pezzo).

Però, in termini di marketing editoriale questo atteggiamento di tutti i quotidiani mi stupisce, potrebbe essere un’opportunità per sparigliare e ridefinire mercato e quote, invece tutti stanno aggrappati a un’area sociale sempre più ai margini e lettori sempre più vecchi. Perché?

Probabilmente stiamo vivendo una grande rivoluzione socio-culturale, uno dei più importanti paesi del mondo, l’Italia, ha scelto, democraticamente, di farsi laboratorio, di liberarsi di colpo di un’intera classe dominante (oggettivamente insopportabile) e affidare il governo a due giovani leader, due parvenu. Questi hanno noti e dichiarati presupposti ideologici, molto vicini a quelli che, ripeto impropriamente alcuni chiamano “populisti”, mai è successo che leadership di tal fatta siano andate al potere con “numeri” così rilevanti. Mi chiedo, noi della stampa che facciamo? Per ora mi pare nulla, è come se rifiutassimo di occuparcene. Continuiamo a vivere di battute, fare ironie da caserma, sperare, senza ammetterlo, che arrivi qualche cavaliere bianco europeo, augurarsi che il dio mercato ci salvi dagli unni (ragazzi sono concittadini), e altre facezie simili.

Giusto? Sbagliato? Non sta a me dirlo, essendo anch’io, come Di Maio e Salvini, un parvenu, seppur del giornalismo. La vita però mi ha insegnato che, almeno nel business e nel management credere che il mercato non possa cambiare radicalmente e d’improvviso, e che i parvenu seguano le nostre (vecchie) strategie, è un atto suicida. Una notazione a margine: Salvini e Di Maio hanno scelto la “sincerità” come modello comportamentale (categoria sempre esclusa per definizione), mettendo in crisi il mondo della vecchia politica e del vecchio giornalismo, ancora fermo a decrittare il linguaggio delle solite volpi in pellicceria. Un mondo spazzato via.

www.riccardoruggeri.eu

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