I giovani di oggi costretti in un mondo senza meritocrazia

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Superato l’esame di terza media, la mamma mi chiese cosa volessi fare da grande, la risposta fu immediata: il liceo classico, la facoltà di legge, l’avvocato penalista. Lo dissi senza prendere fiato. La mamma fu felice per la qualità della risposta, infelice perché non poteva soddisfarla. Andai all’istituto tecnico, ma con un <<bonus>>, si direbbe oggi: due volte alla settimana, in un alloggio signorile di Torino, pineo di ninnoli, una vecchia professoressa dalla voce flautata per un’ora mi insegnava il greco, per una il latino. Dopo un paio di mesi non volle più essere pagata, apprezzava il mio impegno e ammirava mamma, operaria e vedova; incredula diceva <<investe quattrini su due lingue morte per un ragazzo destinato a diventare un operaio Fiat>>.
Oggi le mie due nuore e i miei figli hanno il problema di tutti: dopo la terza media che strada imboccare? Ripeto quando detto loro. Sono un nemico feroce di questo modello socio-economico, che nei miei libri ho definito Ceo capitalism, lo considero un nemico mortale per l’Occidente, figuriamoci per l’Italia. Ne scrivo in modo critico da un decennio, però di quel mondo faccio parte integrante, sono uno di loro. Quindi so che abbatterlo, ammesso che sia possibile, richiederà molto tempo, a meno di fatti imprevedibili. Tre presidenti <<canaglia>> (politicamente parlando) Bill Clinton, George Bush, Barack Obama ci hanno messo un quarto di secolo a crearlo e a importo, penseremo mica che i loro compari di Silicon Valley, di Wall Street, delle Cancellerie europee, dei think tank, degli intellò embedded, accetteranno di abbatterlo senza difenderlo?
Sarà pure una schifezza (vedi il miserabile caso Ryanair) ma per ora dobbiamo conviverci.

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Un libro di Richard Florida (L’ascesa della classe creativa, 2003) sosteneva che nell’era post industriale le città sarebbero diventate dei laboratori popolati di lavoratori creativi, da artisti, scrittori, giornalisti, facendo rifiorire il tessuto urbano, con conseguente crescita economica.
Non aveva però previsto che ciò sarebbe avvenuto attraverso l’espulsione delle classi media. I colti lo chiamano gentrification: un processo socio-immobiliare che porta a delle enclave esclusive.
Di recente Florida ha riconosciuto di essersi sbagliato, ha chiesto scusa ai suoi lettori. Il risultato pratico della sua teoria di allora è che l’ascesa della classe creativa in città come San Francisco, New York, Londra, ha sì generato crescita economica, ma solo per chi era già ricco, cacciando via la classe media e quella operaia, diventate entrambe più povere di prima.

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Con il Ceo capitalism non funziona più così, inutile investire in cultura (se non per motivi personali), meglio lasciare a figli e nipoti un capitale liquido. Come dice Florida solo con i proventi del tuo lavoro creativo non puoi più vivere nel centro città, ti servono i proventi del tuo patrimonio finanziario, se non lo hai, sei espulso e vai in periferia. L’opposto della meritocrazia. Mutatis mutandis è ciò che succede nelle periferie ove ex classe media e poveri, ormai accomunati, non possono campare con i soli compensi dei lavoretti (gig economy), quindi abbisognano del reddito di cittadinanza statale, entrando così nella spirale che li porta a essere zombie.
Un mondo curiosamente ribaltato: le sinistre dominano il centro (ricco) della città, le destre le periferie (povere), i primi vogliono un’immigrazione libera e i <<ponti>>, i secondi i blocchi e i <<muri>, per poi nascondersi, entrambi, dietro gigantesche fioriere di cemento per paura del terrorismo islamico.
Un dramma per noi liberali nature, amavamo il capitalismo classico con le tre classi e l’ascensore sociale che bilanciava il tutto. Questi dei <<muri e dei ponti>> ce lo hanno sottratto, con destrezza.

Riccardo Ruggeri

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