In Francia ha vinto il gollismo trumpista. Marine Le Pen avrà del Fillon da torcere

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Se vogliamo capire che cosa potrebbe accadere in Francia alle presidenziali di maggio dobbiamo fare lo stesso percorso di analisi iniziato tempo fa per Donald  Trump, cioè partire dalle primarie, delle due sinistre e delle tre destre (Marine Le Pen è caso a sé, già designata d’ufficio per il ballottaggio). A sinistra pare ovvio il ritiro dell’impresentabile François Hollande, quindi si materializza la sfida fra  Manuel Valls ed Emmanuel Macron. Anche se quest’ultimo pare voglia correre da falso nueve, così come Valls cerca di far passare il messaggio di due sinistre inconciliabili (di una è interessato ai voti, non ai programmi). Comunque a sinistra, siamo ancora nella fase di surplace.

Delle tre destre, alle primarie (primo turno), quella repubblicana di Nicolas Sarkozy è stata abbattuta (e con lei il mondo di Carlà); quella girondina di Allan Juppé (la più idonea a farsi Partito della Nazione al ballottaggio), data per vincente, è collassata; quella thatcheriana di François Fillon ha prevalso. Il nuovo schema culturale delle maggioranze silenziose (Brexit-Trump) pare lo stesso: più ti allontani dal vecchio establishment globalizzante-uberizzato, più prendi voti.

Due i corni della posizione di Fillon: liberismo economico, conservatorismo culturale. In economia promette lacrime e sangue, tagli della spesa pubblica, eliminazione di 500.000 impiegati statali o parastatali, attraverso un «linguaggio di verità verso il popolo». Gollista, con sfumature trumpiste, il suo conservatorismo culturale: duro con Bruxelles, sogna un’Europa delle nazioni, una Schengen della giustizia (tradotto: espulsione immediata di qualsiasi straniero che commetta un reato). In politica estera è filo Putin (commentando la vittoria di Trump ha detto: «Non temo un’alleanza Trump-Putin, anzi me la auguro»). Ha scritto un libro ove il titolo riassume già il contenuto, Contro il totalitarismo islamico. Cattolico di stretta osservanza (stessa moglie da 36 anni, cinque figli), su aborto, matrimoni e adozioni gay è un pelino a destra rispetto a monsignor Nunzio Galantino. Se fosse lui quello che la sfiderà al ballottaggio, e riuscisse ad attenuare il suo thatcherismo, per Marine Le Pen non ci sarà partita.

Dopo la vittoria di Fillon su Juppé al ballottaggio finale, le speranza della sinistra, e automaticamente dell’establishment, sono tutte riposte in Emmanuel Macron (una specie di Carlo Calenda, con il rotacismo) che, da un lato punta a fare il pieno (?) dei voti a sinistra (Valls parte azzoppato per essere stato scelto da Hollande) e sogna di acquisire voti in quel elettorato della destra di Juppé non disposto a votare Fillon.

Comunque le incognite, e i nodi da sciogliere da qui a maggio, sono ancora molti, una cosa però è certa: un ballottaggio Le Pen vs Fillon, sarebbe mortale per l’establishment e, al contempo, molto pericoloso per la stessa Marine Le Pen. Il nuovo corso dell’Occidente anti establishment pare muoversi secondo la «strategia delle pentole a pressione» (non ho trovato altra metafora). Dovrebbero scoppiare, in successione, a ogni elezione, in ogni Paese.

Il processo è iniziato con l’inatteso botto del popolo della Brexit, è seguito con l’impensabile botto del buzzurro Trump, se a maggio dovesse saltare la valvola francese (Le Pen o Fillon), le elezioni in Germania dell’autunno perderebbero parte della loro strategicità. I giochi sarebbero in parte fatti, la Germania dovrebbe adeguarsi al nuovo corso, Angela IV sarebbe un’anatra zoppa già all’insediamento. Il resto dei 27 staterelli, appena si accorgeranno che il tallone tedesco è di gomma piuma, faranno, ilari, il classico salto della quaglia.

E l’Italia? Con il previsto aumento dei tassi di interesse americani verrà impalata, a causa del suo mostruoso debito pubblico (il vero flop di Renzi, +121 miliardi dal giorno dell’insediamento), finendo ai margini della scena. Così l’Europa, se in tempi brevi non dovesse uscire dalle sue sciagurate contraddizioni in economia, in politica estera, nel militare, nella gestione dell’euro, in quella dei flussi migratori. In altre parole l’Europa dovrebbe, di colpo, passare da una dorata adolescenza, a una imbarazzata età adulta. Ne vedremo delle belle.

Riccardo Ruggeri

 

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